La storia degli ex libris non può essere separata dalla storia di uno degli oggetti più belli che l’essere umano abbia mai creato, il libro.
Prima dell’invenzione della stampa, i libri erano dei manoscritti di estremo valore.
Erano oggetti insostituibili, pochi esemplari, volumi rari creati dagli amanuensi nei conventi, impreziositi da miniature e da ricche rilegature. Immaginatevi nel libro (o nel film) de Il nome della rosa!
Per dimostrarne l’appartenenza in caso di appropriazione altrui, la prima soluzione fu anche la più semplice: il proprietario scriveva di suo pugno, o faceva scrivere dal copista, sul frontespizio o sul risvolto della copertina, il proprio nome o più spesso delle sentenze, dei motti, o dei curiosi avvertimenti.
Nel XIV secolo, arriva il bello -almeno per me, in Europa si diffonde la tecnica xilografica in uso in Cina, cioè una matrice di legno, in parole povere una tavoletta, incisa manualmente, inchiostrata e stampata su stoffa o su carta.
La tecnica che uso io, per i miei ex libris, è la linoleografia che è la figlia economica della xilografia, ma di questo ne parleremo in un altro articolo.
Nel Quattrocento i primi libri erano realizzati proprio con questa tecnica, la matrice era una intera pagina del libro, con illustrazioni commentate da poche scritte. Chiamato libro a impressione tabellare.
Poi la svolta in tipografia, con Gutenberg tra il 1439 e il 1450 che introdusse i caratteri mobili e diede così un forte sviluppo alla produzione libraria (evvai!).
I bibliofili iniziarono ad accumulare più libri, e non potendo distinguere le diverse copie di una stessa edizione spingevano a personalizzare il libro con un contrassegno di proprietà più immediato e compiuto.
Si cominciò a stampare serialmente dei foglietti, in xilografia, con il nome del proprietario insieme al disegno di uno stemma nobiliare, e poi venivano incollati sul risvolto della copertina. Nascevano così i primi ex libris araldici, legati alle biblioteche dell’aristocrazia e dei conventi, non avevano la dicitura “ex libris”, ma erano accompagnati spesso da una scritta, l’impresa della casata, ossia il motto che figurava su armature, mantelli, monete, portali e decorazioni del castello o del palazzo.
I due ex libris araldici più antichi che si conoscono vengono dalla Germania e sono databili intorno al 1470.
Il primo è dedicato al monaco cistercense Hildebrand Brandenburg di Memmingen: vi è raffigurato un angelo che regge uno stemma sul quale sono visibili le insegne della famiglia Brandenburg, un toro con un anello infilato nelle narici.
L’altro è stato inciso per l’ecclesiastico Johannes (Hans) Knabensperg, soprannominato Igler: vi è disegnato un istrice con un fiore in bocca.
Questo mi piace davvero tanto, molto fumettistico e umoristico, chissà perché Hans ha scelto questo soggetto!?
L’ex libris araldico più antico che si conosca in Italia è quello del monsignor Cesare dei Conti Gambara, vescovo di Tortona, datato intorno al 1548.
Di questi antichi ex libris, come della maggior parte di quelli successivi, gli autori sono ignoti.
Artisti illustri iniziarono ad avere commissioni per realizzare le immagini degli ex libris, di cui poi gli incisori realizzavano le matrici.
Invece Albrecht Dürer è sia artista che incisore di ex libris, solo cinque di quelli che ha realizzato sono giunti fino a noi, vi metto le immagini di un paio.
Alla fine del XV secolo alla xilografia, detta anche incisione a rilievo, cominciò ad aggiungersi, con un processo graduale, un nuovo metodo di stampa: la calcografia, detta anche incisione a incavo, una tecnica che permette maggiore versatilità (sottigliezza del segno, chiaroscuro, sfumature a mezzatinta).
Ne vedremo qualche esempio nel prossimo articolo.
Bibliografia
- Ex libris, artisti italiani della seconda metà del ‘900, A. Disertori, A. M. Necchi Disertori, ed. Hoepli, 2017
- Gli ex libris italiani, A. Bertarelli, D. H. Prior, ed. , 2014
Video
- Enzo di Martino racconta la storia della grafica d’Arte, raicultura, 1982
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